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Cameriera picchia cliente del Bar che l’aveva molestata con espressioni forti. Giusto licenziarla?
informa 360
Mar, 06 Febbraio 2024
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Redazione 360magazine RICHIEDI INFORMAZIONI
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Una cameriera picchia un cliente di un bar che l'aveva molestata con espressioni sessualmente forti. Il datore di lavoro la licenzia. È legittimo o no un licenziamento di questo genere?
Diciamo che la questione è stata affrontata da una sentenza del Tribunale di Bergamo che ci accingiamo a commentare. Sentenza emessa a fine 2023 che è stata originata da un fatto di questo genere: la datrice di lavoro, parliamo di un bar della provincia di Bergamo, ha contestato ad una lavoratrice di aver assunto nei confronti di un cliente abituale del bar atteggiamenti offensivi e violenti, addirittura alzando le mani nei suoi confronti. Per questo motivo l'ha licenziata per giusta causa. La ricorrente, la lavoratrice, ha impugnato il licenziamento sostenendo di aver subito per almeno due mesi trattamenti umilianti e degradanti da parte di avventori del bar, tra cui anche questa persona che poi ha picchiato. Ecco, in particolare ha sostenuto di aver ricevuto frasi e di essere stata destinataria di frasi molto violente da un punto di vista personale, sessualmente molto esplicite molto forti. Per esempio: "In un'azienda ti vedrei bene sotto la scrivania del capo" e frasi similari che non verranno ripetute perché sono veramente molto forti e pesanti. In reazione a queste frasi dopo aver avvisato questo cliente che avrebbe reagito con violenza se ulteriormente offesa, all'ulteriore offesa appunto è passata alle vie di fatto ed ha alzato le mani picchiando questo cliente.
Ora da un punto di vista di diritto sono considerate in particolare l'articolo 26 del decreto legislativo 198 del 2006, considera discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, così come sono molestie sessuali quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale espressi in forma fisica, verbale, non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice e creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Quindi su questi presupposti è stata svolta un'istruttoria dibattimentale, ragione per cui c'è stata una istruttoria nel corso del procedimento in materia di lavoro, che ha consentito di accertare che in effetti la lavoratrice aveva subito in un periodo di tempo abbastanza significativo, numerosi episodi di molestie sessuali che sono consistiti appunto in frasi umilianti e ingiuriose che avevano ad oggetto la sua presunta abilità e proclività al compimento di atti sessuali e veniva rappresentata in modo, come dire, assolutamente degradante.
Il giudice del Tribunale di Bergamo dopo aver ascoltato diversi testi di avventori del bar, il compagno della datrice di lavoro ed altri, è arrivato ad una conclusione abbastanza innovativa rispetto a quello che che si è verificato in passato; ha ritenuto questi fatti indubitabilmente qualificabili come molestie sessuali perché si tratta di comportamenti verbali indesiderati a connotazione sessuale, chiaramente idonei a violare la dignità della lavoratrice che è rappresentata nella fantasia dei molestatori come persona incapace di controllare i propri desideri sessuali e idonea a soddisfare il piacere maschile in posizione di subordinazione.
Il Giudice del Tribunale di Bergamo ha ritenuto, che la lavoratrice a fronte di quelle molestie ed offese ricevute abbia reagito in modo sicuramente non sproporzionato, percuotendo a mani nude, peraltro un uomo di notevole stazza, alto un metro e 90, chiaramente non invalido, anzi in grado di replicare con brutale violenza alle percosse della lavoratrice. Infatti le ha dato una testata sul naso, procurandone la fuoriuscita di sangue. Per effetto di questi comportamenti, la datrice di lavoro ha irrogato il licenziamento, come dicevo, alla lavoratrice, ma è stato irrogato in seguito alla reazione della lavoratrice all'offesa ed il giudice ha ritenuto tale licenziamento qualificabile come nullo e discriminatorio ai sensi appunto dell'articolo 26 del decreto legislativo 198 del 2006, essendo stato adottato il licenziamento in conseguenza del rifiuto della molestia o ad un'azione volta ad ottenere il rispetto della parità di trattamento.
Inoltre, il giudice aggiunge anche un altro elemento di particolare rilievo, e cioè ai sensi dell'articolo 2087 del codice civile, il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure necessarie alla tutela della personalità, anche morale, del lavoratore. Nel caso specifico, la datrice di lavoro, in questo caso la proprietaria del bar, ben consapevole della situazione, non ha tenuto il comportamento imposto dall'articolo 2087 del codice civile, omettendo di adottare misure nei confronti degli avventori. Per esempio redarguendoli, espellendoli dal locale. Neanche nei confronti della lavoratrice, in quanto se fosse stato come dire il comportamento degli avventori indotto, ma non è così, dall'abbigliamento piuttosto che dal modo di fare della lavoratrice, avrebbe dovuto iniziare procedimenti disciplinari nei confronti della lavoratrice in questo modo garantendo le misure necessarie alla tutela del lavoro nonché della personalità morale del lavoratore. Quindi, l'episodio oggetto di contestazione disciplinare risulta pienamente imputabile, dice il giudice, al datore di lavoro, il quale ha colposamente omesso di tutelare la lavoratrice dalle gravi molestie sessuali subite, dando quindi causa alla reazione in autotutela della stessa lavoratrice.
Accertata la nullità per discriminazione, per comportamento discriminatorio del licenziamento, il giudice ha disposto la reintegra nel posto di lavoro, e anche qui c'è un profilo di diritto abbastanza chiaro e noto pur trovandoci in presenza di un'azienda che ha meno di 15 dipendenti, trattandosi di licenziamento nullo e discriminatorio, evidentemente il datore di lavoro viene condannato alla reintegra, il giudice dispone la reintegra e non il mero risarcimento, condannando altresì il datore di lavoro al pagamento di tutte le spettanze che sono maturate dal momento dell'illegittimo licenziamento alla reintegra e anche alle spese del giudizio.
Ecco è una sentenza che sicuramente presenta elementi di novità, nel senso che viene valorizzato non tanto e non già il comportamento sicuramente non consono e non corretto della lavoratrice che ha alzato le mani e quindi ha avuto un comportamento violento nei confronti dell'avventore, ma viene assolutamente giustificato questo comportamento dalla condotta precedente degli avventori che è stata qualificata come molestie sessuali verbali e dal comportamento del datore di lavoro che non ha realizzato la tutela della dignità morale del lavoratore ai sensi dell'articolo 2087 del Codice civile.
Grazie mille
Avvocato Antonio Saccone