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Jobs Act e Licenziamenti Collettivi
informa 360
Gio, 18 Aprile 2024
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La Consulta ha ritenuto legittima la disciplina dei licenziamenti collettivi fissata dal Jobs Act.
Nello specifico la Corte Costituzionale con la sentenza numero 7 che è stata depositata il 22 gennaio del 2024 ha chiarato infondate alcune questioni di legittimità costituzionale riferite all'articolo 3 e all'articolo 10 del decreto legislativo 23 del 2015, il decreto delegato del Jobs Act sulle tutele crescenti, il quale aveva introdotto appunto il contratto a tempo indeterminato tutele crescenti fissando l'entità del risarcimento in base all'anzianità di servizio, in particolare la Corte d'Appello aveva censurato la disciplina dei licenziamenti collettivi con riferimento alla violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero. Secondo la Corte d'Appello, la tutela reintegratoria, che non esiste più per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, riguardava esclusivamente i licenziamenti individuali e non poteva applicarsi (questa è stata l'eccezione di incostituzionalità che ha sollevato La Corte d'Appello) ai licenziamenti collettivi. La legge delega secondo la Corte d'Appello di Napoli aveva escluso per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del posto di lavoro e ha previsto un indennizzo economico limitando il diritto alla reintegra solo ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamenti giustificati, e in particolare anche considerando i lavori parlamentari La Corte Costituzionale ha ritenuto che il riferimento contenuto nella legge delega ai licenziamenti economici, riguardasse sia quelli individuali che quelli collettivi e quindi ha escluso che sotto tale profilo ci sia stata, come riteneva La Corte d'Appello di Napoli, la violazione dei criteri direttivi della legge delega.
Ecco sostanzialmente all'esito di una procedura di licenziamento collettivo che determina appunto l'espulsione dal circuito produttivo di lavoratori, se questi lavoratori sono stati assunti dopo il 7 marzo 2015, la disciplina applicabile può benissimo essere quella dei licenziamenti economici fissata dal Jobs Act, quindi dal decreto legislativo 23 del 2015, quindi una tutela non reintegratoria ma risarcitoria in base non più alla sola anzianità di servizio per effetto dell'altra sentenza della Corte Costituzionale del 2018, ma in base a tutta una serie di elementi. Quindi anche per i licenziamenti collettivi, a prescindere dai criteri di scelta, si applicano le previsioni del decreto legislativo 23 del 2015 come modificato dal decreto dignità quanto all'entità della misura del risarcimento, e dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2018 (la 194 del 2018) che comunque aveva stabilito che l'illegittimità costituzionale del criterio di licenziamento basato sulla sola anzianità di servizio.
Poi la corte ha ritenuto non fondata anche la censura di violazione del principio di eguaglianza, comparando i lavoratori cosiddetti anziani, cioè quelli assunti prima del 7 marzo 2015 che conservano una disciplina sostanzialmente più favorevole perché contempla la reintegra nel posto di lavoro, e i lavoratori assunti dopo tale data che la corte chiama lavoratori giovani ai quali si applica la nuova disciplina del Jobs Act. Il riferimento temporale alla data di assunzione secondo la corte costituzionale consente una legittima differenziazione delle situazioni; la nuova disciplina dei licenziamenti è orientata ad incentivare l'occupazione e a superare il precariato ed è pertanto prevista solo per i giovani lavoratori, il legislatore secondo la corte costituzionale non è tenuto su un piano costituzionale ad applicare questa disciplina anche a chi era già in servizio per i quali rimane la disciplina ritenuta più favorevole, forse non lo è per quanto riguarda la misura dell'indennità ma lo è sicuramente con riferimento alla tutela reintegratoria che ancora permane per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015.
Infine la Corte Costituzionale ha ritenuto adeguata la tutela indennitaria: al lavoratore illegittimamente licenziato all'esito di una procedura di riduzione del personale spetta un'indennità di importo pari al numero di mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, determinata in base ai criteri indicati nella sentenza 194 del 2018 e comunque in misura non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità se trattasi, come nel caso di licenziamenti collettivi, di aziende che occupano più di 15 dipendenti.
Da ultimo è importante richiamare un ultimo passaggio che questa sentenza del 2024 della Corte Costituzionale ha inteso porre in risalto e cioè una segnalazione al legislatore che la materia del licenziamento, che è stata frutto di interventi normativi stratificati, deve essere rivista in termini complessivi quindi c'è una sorta di monito al parlamento a rivedere sia i criteri distintivi applicabili tra i regimi ai diversi datori di lavoro sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le varie fattispecie.
Ecco in conclusione di questo breve commento possiamo dire che la sentenza della Corte Costituzionale mette uno stop definitivo ad ogni discussione relativa alla legittimità costituzionale del decreto legislativo 23 del 2015 sulle tutele crescenti, porta a termine l'esame e l'interpretazione che era già iniziata con la sentenza 194 e diciamo che le principali disposizioni del decreto legislativo 23 hanno retto all'esame della consulta. Quindi possiamo tranquillamente affermare allo stato attuale che la reintegra di cui all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è destinata ad un ruolo sempre più marginale in quanto sostituita sia per i licenziamenti individuali che per quelli collettivi da un'indennità risarcitoria, predeterminata ripeto in base all'anzianità aziendale e anche a tutti i criteri fissati nella sentenza 194 del 2018.
Grazie
Avv. Antonio Saccone